Ancora su privacy e publicity in fotografia partendo da un recente episodio: tra diritto di cronaca, diritto all’immagine delle persone fotografate e fair use.
Testo e foto di Leonardo Brogioni
Qualche mese fa, durante la pandemia, un fotogiornalista professionista ha scattato un’immagine di una donna seduta da sola al tavolino di un bar chiuso, in una piazza semivuota di una città veneta. Una buona foto, emblematica delle restrizioni imposte nel periodo della zona rossa, tanto che l’immagine è stata poi pubblicata dal Corriere del Veneto, quotidiano del gruppo RCS Edizioni Locali, con il quale il fotografo storicamente collabora grazie a tanto di contratto.
È successo però che la donna ripresa ha visto la sua immagine pubblicata sul giornale e ha fatto causa all’editore per violazione della sua privacy.
Dal canto suo l’editore ha letteralmente scaricato sul fotoreporter le responsabilità legali e l’eventuale risarcimento dei danni dicendo che era compito del fotogiornalista procurarsi le liberatorie necessarie alla pubblicazione dell’immagine, come scritto nel suo contratto.
Questi i fatti … ora … sono anni che scrivo a proposito di queste diatribe e mi stupisco di doverlo fare per l’ennesima volta, ma evidentemente ancora non sono entrati nella cultura collettiva i concetti che vado a ribadire. Perchè la vicenda è paradossale da svariati punti di vista.
Il punto di vista del soggetto ripreso (in questo caso la donna seduta in piazza): deve essere chiaro che in un luogo pubblico (come la piazza) non può esistere privacy, ma c’è la cosiddetta publicity (the state of being in the public eye, come dicono gli anglosassoni). E la publicity è prima di tutto un diritto del cittadino: è la possibilità di vivere lo spazio pubblico comune senza paure di nessun genere: in un parco, in un bar, in una piazza, in una strada e in quant’altro si devono poter esercitare i propri diritti inviolabili (di associazione, circolazione, riunione, manifestazione e diffusione del pensiero, professione e propaganda religiosa, creazione artistica, etc. etc.). A viso aperto, a volto scoperto, senza restrizioni: è il principio della trasparenza in luogo pubblico che fa da contraltare a quello – altrettanto sacrosanto – della riservatezza nel domicilio privato. Questo concetto di publicity dovrebbe essere chiaro: invocare la privacy in un luogo pubblico è una pretesa paradossale. È come se mi tuffassi in piscina e poi facessi causa al bagnino perchè ne sono uscito bagnato. Tutti si riempiono la bocca con la privacy ma nessuno difende la ben più importante publicity. E io non me ne faccio una ragione.
Il punto di vista dell’editore (in questo caso RCS Edizioni Locali): qui pare veramente assurdo non solo che un imprenditore responsabile dell’informazione deleghi al suo collaboratore la verifica della necessità di una liberatoria (fino ad arrivare a fargli firmare un contratto in tal senso, senza il quale probabilmente il collaboratore non lavorerebbe, quindi – di fatto – imponendo una condizione: leggi comunicato del Sindacato giornalisti del Veneto), ma è altrettanto assurdo che un editore NON alzi la voce a tutela di quello che è il sacrosanto diritto di cronaca. Il diritto di cronaca – inviolabile anch’esso – è quello secondo il quale il diritto della collettività ad essere informati prevale su quello del singolo alla sua immagine, purchè si tenga conto del principio di essenzialità dell’informazione (e cioè non si diffondano dati personali che non siano essenziali a quella notizia) e che l’immagine non sia lesiva del decoro e della reputazione della persona ritratta.
A queste condizioni e – nell’episodio riportato, aggiungendo che il soggetto è in una situazione pubblica – nell’esercizio del diritto di cronaca chiunque può diffondere dati personali senza il consenso della persona interessata, cioè senza liberatoria. Non fare il proprio mestiere verificando se articoli e foto rientrano in questa categoria significa scaricare la propria responsabilità e la propria professionalità su altri, pretendere che altri facciano ciò che devi fare tu. Non difendere il primario diritto di cronaca sul quale si fonda l’informazione significa non fare il proprio mestiere di editore. E anche in questo caso io non me ne faccio una ragione.
Tutto ciò si fonda su quanto è scritto chiaramente nella Costituzione (art. 21) e nella legge sul diritto d’autore (L. 633/1941, art 96 e 97); su quanto è stato ribadito nella cosiddetta legge sulla privacy (L. 675/1996, art. 20 e 25) e precisato nel DLGS 196 del 30/6/2003; su quello che è stato ben spiegato da un ancora attuale articolo di Vincenzo Cottinelli su fotoinfo.net che invito tutti a leggere.
Questo ottimo impianto legislativo dice alcune cose molto chiare, che tutelano sia i soggetti ripresi sia coloro che fanno fotografia:
1) in luogo pubblico NON è vietato realizzare fotografie e nessuno può impedire la ripresa della propria persona e del proprio volto; fotografare è un diritto costituzionalmente garantito (leggete la Costituzione nei suoi articoli 9, 13, 21 e 33) e questo concetto deve essere assimilato e difeso: qualsiasi divieto di fotografare cose o persone in luogo pubblico è un abuso. Fotografare deve essere considerato un atto inviolabile di libertà dei cittadini; che sia eseguito per esprimersi, per informare, per esercizio intellettuale, per creare dei ricordi. Purchè avvenga – lo ripeto – in luogo pubblico.
2) dato quindi che la questione riguarda esclusivamente il momento della pubblicazione delle foto, l’impianto legislativo parla chiaro. È permessa la pubblicazione di fotografie in cui siano presenti persone riconoscibili senza bisogno di autorizzazione (liberatoria) da parte di quest’ultime se tali immagini sono state realizzate in luogo pubblico, se sono pubblicate per fini culturali, artistici, scientifici, didattici o di informazione e se le foto in questione non sono lesive della dignità o della reputazione della persona ripresa. In sostanza, se le foto scattate in luogo pubblico vengono usate per scopi pubblicitari o commerciali (affisioni, brochure, volantini e qualsiasi altro prodotto promozionale) occorre il consenso alla pubblicazione da parte della persona riconoscibile ripresa (liberatoria). Nel caso la pubblicazione sia effettuata su mezzi d’informazione (giornali, riviste, siti internet, saggi, tv, etc etc) o su un qualsiasi mezzo di diffusione della cultura e dell’arte (gallerie, mostre, cataloghi, siti internet, etc. etc) non serve la liberatoria da parte di quella persona. Quindi una foto può essere pubblicata senza obbligo di consenso su un quotidiano a corredo di un articolo giornalistico, ma se la stessa identica foto viene pubblicata sulle pagine di una brochure aziendale occorre la liberatoria del soggetto riconoscibile.
Per approfondimenti consultare:
“Privacy e il diritto a fotografare” di Leonardo Brogioni in Street Photography, Progresso Fotografico Serie Oro n. 38, marzo 2016, Editrice Progresso;
“Diritti e doveri di un fotografo di città” di Leonardo Brogioni in Urban Phoyography, Progresso Fotografico Serie Oro n. 63, maggio 2020, Editrice Progresso